domenica 13 novembre 2011

Incontro con le Fortezze Volanti


Chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno (Porta a Mare). Un dépliant all’ingresso informa:
Incerte le notizie storiche sull’origine della chiesa. Si parla di una prima fondazione nell’anno 805. Il tempio attuale dal 1063 avrebbe funzionato come chiesa cattedrale durante la costruzione del Duomo (...) la chiesa, imbarocchita nel 1600, fu restaurata nel 1854. Colpita da una bomba inesplosa nel bombardamento aereo del 31 agosto 1943, è stata restaurata nel corso dei vari anni dal 1953 al 1958….
La città di Pisa ricorda ogni anno quel triste avvenimento nelle pagine locali dei quotidiani.
Su La Nazione del 2004 è scritto: “Tutto era incominciato intorno alle 13 del 31 agosto 1943, con la prima ondata di B17, le terrificanti Fortezze Volanti, che scaricarono intorno alla stazione ferroviaria 367 bombe.”.
Il B.17 Fortezza Volante, quadrimotore, che quando nacque nel 1935 era di una grandezza impressionante rispetto agli altri bombardieri, aveva una apertura alare di 31,6 metri ed aveva motori di 930 cavalli. Rimanendo invariate le dimensioni, fu poi costruito in numerose versioni, tutte dotate di motori con compressore da 1.217 cavalli al decollo e 1.014 a 7.600 metri di quota e che si differenziavano soprattutto per l’armamento difensivo come, ad esempio, la versione F che operò in Europa ed anche in Italia nel 1943. Questo B.17 F aveva una velocità normale d’impiego di 314 Km/h. alla quota di 7.600 metri, portava un massimo di 7.900 Kg. di bombe ed aveva una autonomia di 3.219 Km. con un carico di bombe di 1.814 Kg. Per la difesa aveva 9 mitragliatrici da 12,7 di cui 6 in torrette binate più una da 7,62 e con questo armamento poteva fare affidamento per aprirsi la strada in mezzo alla difesa dei caccia nemici.
La nostra difesa aerea nella zona di La Spezia e di Pisa era affidata agli aerei da caccia MC.200.
L’8° Gruppo Autonomo C.T. era dotato di tali aerei, una cinquantina nominalmente, ma poco più della metà sempre disponibili, tanto che dopo l’8 settembre 1943, quando il Gruppo si trasferì compatto in Sicilia presso gli alleati, era composto di soli 22 aerei da caccia e due da trasporto.
Il Gruppo era dislocato sull’aeroporto di Luni Sarzana, con il compito principale di scorta alla Squadra Navale ancorata nel golfo di La Spezia; un altro compito consisteva nella scorta ai convogli nell’Alto Tirreno, nonché in quello di caccia di intercettazione in difesa della costa da La Spezia a Grosseto.
Gli aerei avevano un’autonomia di circa 2 ore con il serbatoio supplementare di 80 litri, il cui contenuto doveva essere versato nel serbatoio principale di 300 litri, dopo che da questo era stato consumato un analogo quantitativo.
Prima della vuotatura del supplementare, cioè per circa mezza ora, l’aereo non era in condizione di svolgere manovre acrobatiche.
Nelle scorte ai convogli il tempo occorrente era di mezz’ora all’andata e altrettanto al ritorno: rimaneva un’ora per la sorveglianza, con il rischio di rimanere senza carburante in caso di combattimento.
Inoltre, a volte era difficile trovare il convoglio, perché questo era costretto a continui spostamenti che non venivano tempestivamente segnalati.
La peculiare attitudine alla scorta navale del Gruppo comportava che spesso venisse richiesto l’intervento in altre zone: ad esempio una pattuglia di quattro aerei della 94ª Squadriglia, al comando del tenente Giuseppe Pesce, venne richiesta e inviata a Grottaglie per la difesa delle navi del Golfo di Taranto nel mese di agosto e vi rimase fin dopo l’armistizio.
Un’altra pattuglia di tre aerei della stessa Squadriglia, da me guidata, venne richiesta, nell’agosto stesso, in supporto al 3° Stormo Caccia di Cerveteri per la scorta ad un convoglio che rientrava nel porto di Civitavecchia. La missione durò una sola giornata.
Nell’estate del 1943, per la difesa su allarme del tratto di costa meridionale di competenza, cioè verso Grosseto, venne allestito un nuovo aeroporto, quello di Arena Metato in provincia di Pisa: un campo erboso
con la manica a vento, che dall’alto non si distingueva dalla circostante campagna.
Vennero costruiti capannoni e baracche per uffici, magazzini e alloggi e anche una piccola baracca appartata per servizio e segnalazioni radio agli aerei in volo.
Qui venne dislocata una squadriglia dell’8° Gruppo, la 94ª, con 15 aerei MC 200 armati da due mitragliatrici 12,7 che sparavano sincronizzate attraverso l’elica.
Venne anche una squadriglia del 13° Gruppo Caccia dotata di aerei Devoitine 520, preda bellica francese, muniti di cannoncino calibro 20 con 60 colpi e due mitraglie alari da 7,65, ma con motore non molto potente. Il 31 agosto del 1943 fui il primo ad avvistare le Fortezze Volanti e ne detti notizia a terra.
Ero ad oltre 5.000 metri di quota su un Macchi 200, in mare aperto davanti alla costa di Pisa e Livorno e segnalai: “Aereo sabato chiama tre rosso, passo” - “Qui tre rosso, parla” “Vedo tanti puntini neri ad ore 6, diversi dai punti bianchi del fuoco di sbarramento della contraerea, di sicuro sono aerei nemici, passo” -“Va bene, ora siamo avvertiti, non avevamo avuto più notizie dei bombardieri da parte della DICAT, avvertiamo
gli altri, passo”. “Bene, ora vado all’attacco, passo” - “Tienici informati su quello che farai, passo.”
Quella mattina sul campo di Metato i tre aerei in servizio di allarme schierati in prossimità della pista scaldavano i motori ogni mezz’ora; piloti e specialisti del turno sostavano all’ombra delle ali.
Gli altri aerei erano decentrati ai bordi del campo.
Quando le sirene suonarono l’allarme, questi tre aerei partirono entro pochi minuti, avendo già i motori caldi; gli altri aerei vennero messi in moto dagli specialisti con urgenza e i piloti arrivarono dagli alloggiamenti
dirigendosi ai vari aerei con i mezzi a disposizione, camioncini e carri attrezzi.
Ogni pilota, pur avendo in assegnazione un proprio aereo, saliva su quello che gli era più prossimo e che era pronto per la partenza; data l’urgenza di raggiungere la quota per affrontare il nemico, non era possibile attendere che tutti gli aerei (7 o 8) fossero pronti per andare in formazione, cosicché ognuno, appena pronto e ricevuto il via dallo specialista, decollava.
Giusto il tempo necessario per indossare il salvagente, il paracadute (il battellino era sotto il sedile), i razzi di segnalazione ad una gamba, le polveri fluorescenti nell’altra, il casco impellicciato con auricolari e laringofono per la radio, gli occhialoni, e poi le cinture di sicurezza aiutati dal motorista e strette al massimo per aderire all’aereo.
L’indicazione della destinazione era data dal Comando a terra a mezzo radio, che aveva una portata massima di 80 km, ma era spesso vaga e imprecisa.
Quel giorno ci diressero su La Spezia a 6.000 metri e quindi tutti salimmo a quella quota. Poi venne un altro ordine che ci indicò aerosiluranti a Livorno, cosicché scendemmo in pochi minuti fino a 1.000 metri con due o tre rovesciate d’ala.
Ma anche qui non c’erano aerei nemici.
Ci fu allora detto di salire oltre 5.000 metri, davanti la costa di Pisa e Livorno e rimanere in attesa.
In tutto questo andirivieni ogni pilota aveva perso di vista gli altri e non c’era possibilità di riunirci perché le radio erano collegate solo con la terra e non con gli aerei.
Quando usciva la Squadra Navale eravamo collegati con le corazzate e con gli incrociatori soltanto.
Quel giorno, 31 agosto 1943, ogni pilota era collegato solo con il Comando a terra, il quale a sua volta dalla DICAT riceveva notizie contraddittorie ed incomplete che trasmetteva agli aerei in volo.
Appena dato l’avvistamento a terra, la formazione dei bombardieri si era improvvisamente avvicinata e l’unica possibilità di intercettazione era quella di incontrarla alla stessa quota e senza scelta di direzione:
avevamo la stessa velocità.
Sapevamo che il metodo di attacco meno rischioso era di affrontarli dal basso in alto verso il muso, e così mi fu possibile affondare e poi risalire e dirigere verso l’aereo della formazione più prossimo.
Salivo in cabrata verso i B.17 e mi avvicinavo sempre più aspettando di sparare da vicino, dato che ancora non mi avevano visto e non sparavano.
Così, ad una distanza in cui li vedevo dettagliatamente, ho iniziato a mitragliare centrando la fusoliera dell’aereo più prossimo.
La reazione venne subito dopo e vedevo le traccianti delle armi nemiche che mi passavano attorno. Mi allontanavo con rovesciata d’ala e poi risalivo nuovamente mentre sopraggiungeva una nuova formazione. Questa volta avevo deciso di avvicinarmi ancora di più e così iniziai a sparare da sotto in alto verso un vicino bombardiere, ma improvvisamente le mie armi tacquero: si erano inceppate le mitragliatrici mentre
quelle nemiche cominciavano a sparare.
Mi allontanai con un’altra rovesciata e sentivo allora i brividi per quelle mitragliate che mi arrivavano alla schiena e di cui vedevo filare le traccianti.
Le armi erano caricate con tre tipi di cartucce: una tracciante, una perforante, una esplosiva, ragion per cui di tre se ne vedeva una sola.
Rientrati a terra, noi della 94ª avevamo fatto tutti combattimento isolatamente; il capitano Cecchet, Comandante della Squadriglia, era rientrato col parabrezza nero di olio, gli altri ognuno con qualche guaio.
I Devoitine 520, invece, erano stati male indirizzati e non avevano incontrato il nemico: avevano motori meno potenti dei nostri.
I bombardieri avevano fatto un solo passaggio: diretti su Pisa e poi si erano portati a Nord-Ovest evitando il porto di La Spezia; erano stati intercettati dagli altri aerei dell’8° Gruppo di Sarzana Luni.
Uno dei piloti, il S.Ten. Petrosellini, riferì di aver visto un fumo dopo la sua sparatoria e probabilmente quel B.17 colpito avrà avuto forti danni.
Ma le formazioni erano in allontanamento e inspiegabilmente non avevano bombardato la flotta, che era formata da tre corazzate, cinque incrociatori e otto caccia. Come ha spiegato l’Ammiraglio Iachino, le navi dovevano essere “mezzo di scambio” e non dovevano aver danni:
il bombardamento aveva come obiettivo solo Pisa, come scritto nel diario di bordo di un B.17.
Non vi fu necessità di tornare in volo, perché l’ondata dei bombardieri era passata una sola volta, e non vi furono allarmi ulteriori, neanche nei giorni successivi, almeno fino all’8 settembre.
L’8 settembre, l’8° Gruppo C.T., che dipendeva operativamente dal Comandante delle Forze Navali da Battaglia, Ammiraglio Bergamini, fu mandato da Sarzana e da Metato a Littoria, per attaccare la testa di ponte di sbarco alleato.
La Marina era stata avvertita delle trattative per l’armistizio, motivo per cui non riteneva di avere ulteriore bisogno della scorta aerea L’8° Gruppo, dopo varie traversate del mare, venne accolto dal Comando alleato e alloggiato all’hotel dei Templi di Agrigento, adoperato dagli alleati per i turni di riposo dei loro ufficiali.
Al Comandante del Gruppo, Maggiore Bacich, venne lasciata la pistola. Il Gruppo venne poi trasferito a Korba, in Tunisia, dove dagli aerei furono tolti i fasci e disegnate le coccarde tricolori.
Ai piloti furono prese le misure per le nuove divise.
Ricostituito il governo Badoglio, il Gruppo fu inviato a Lecce Leverano e poi, riconosciuti obsoleti gli aerei in dotazione, in Sardegna e, successivamente, con aerei più moderni, partecipò alla Guerra di Liberazione
nei Balcani.

Aldo Allegra



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