venerdì 25 novembre 2011

Aeroporto Dal Molin Vicenza

Viareggio 24 novembre 2011 ore 17
Ricordi di guerra
Quella notte di metà ottobre 1942 nell’aeroporto di Gorizia – Merna - alla Scuola di specializzazione Caccia non avevo dormito. Il giorno prima era caduto un caro amico, compagno alla RUNA di Roma, generoso e cordiale, di ottimo aspetto, Roberto Luchetti- Era precipitato vicino al campo da una quota di oltre duemila metri, forse facendo acrobazia con il CR 42, o per un improvviso malore. Non si è saputa la causa. La sera del giorno successivo era venuto il fratello da una zona di operazione ove era in servizio come sottotenente dell’Esercito. La salma era stata portata in Chiesa lontana dal Campo. Tutti noi della precedente Scuola della RUNA di Roma, ed eravamo rimasti in otto, ci portammo attorno a lui per confortarlo e fargli compagnia.Lui aveva avuto la camera per dormire, ma si intratteneva al Circolo per il suo stato d’animo di afflizione. Si parlava del più e del meno e durante la tarda serata ad uno ad uno i miei compagni si ritiravano ed infine ero rimasto solo con lui che raccontava le sue vicende di guerra. Passò così tutta la notte, e verso le sei del mattino anche noi andammo a dormire. Pensai che avrei passato la mattinata in riposo, ma verso le sette irruppe nella mia camera il collega Canepa, genovese che morirà in guerra, dicendomi che finalmente erano arrivate le bombole di ossigeno per noi due che dovevamo fare il raid, guidati dal tenente istruttore, fino a Vicenza, allargando il giro sulle alpi, valevole per il conseguimento del brevetto di aeroplano. Le bombole scarseggiavano e ne mandavano poche ogni volta e servivano perché detto volo andava fatto sulla quota di ottomila metri. Risposi che non potevo andare perché ero molto stanco per non aver dormito. Ma Canepa insistette in molte maniere e diceva che in fondo era capitato un po’ a tutti di volare senza aver dormito, e poi se non andavo io non andava neanche lui e le bombole sarebbero state usate da altri allievi che aspettavano ansiosi. Mi decisi diandare e mi alzai.
Decollammo una pattuglia di tre CR 42, il ten. Bellò, Canepa e io. Si andava seguendo il capo pattuglia, io a sinistra e Canepa a destra, facemmo quota e oltre i 4000 metri mettemmo le maschere con l’ossigeno salivamo ancora fino a circa gli 8000 metri e ci inoltravamo sulle montagne. Ormai la pianura non si vedeva più, sebbene a quella altezza. Non avevamo la carta geografica, né avevamo tracciato la rotta. Seguivamo il tenente.Alla scuola le lezioni teoriche passavano in seconda linea rispetto alla pratica con tutte le manovre acrobatiche, looping, tonneau, imperiale, vite a destra e a sinistra, da soli, oppurevolavamo in coppia anche acrobatica.Gorizia era l’accademia della Caccia.
Ad un certo punto ho cominciato a sentirmi male. Attribuivo il malore a mancanza di ossigeno e aprivo la valvola della bombola oltre la misura consigliata. Cominciavo a non capire più nulla e pensavo che la stessa cosa poteva essere capitata al mio compagno Luchetti, ma dicevo tra me che una volta scesi sotto i 4000 metri avrei tolto la maschera e mi sarei sentito bene. Il volo proseguiva in quota e il capo pattuglia non si accorgeva che io facevo cenno di volere scendere ad una quota più bassa. Ad un certo punto non mi sentivo più di proseguire a quella quota e avvicinatomi di più al capo pattuglia gli feci cenno che io me ne andavo per conto mio. Non sapevo dove eravamo arrivati e sotto erano tutte montagne, Mi premeva scendere per togliermi la maschera e basta. Ma quando potei togliermela il malessere continuava e allora mi misi a dirigermi verso la pianura sperando di trovare un aeroporto. Finalmente vidi un campo verde con una manica a vento e mi ritenni fortunato di poter atterrare lì. Atterrato, mi sono sdraiato sull’era all’ombra dell’ala, senza da risposta a coloro che erano accorsi all’aereo. Non sapevo che aeroporto fosse: era Vicenza, proprio dove dovevamo arrivare. Poco dopo atterravano gli altri due CR 42, e il tenente Bellò mi concedeva mezza giornata di riposo prima di decollare per Gorizia. Così ho conseguito il brevetto di aeroplano. Il brevetto militare invece l’ho poi conseguito a metà dicembre sul Macchi 200.
Aldo Allegra

domenica 13 novembre 2011

Incontro con le Fortezze Volanti


Chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno (Porta a Mare). Un dépliant all’ingresso informa:
Incerte le notizie storiche sull’origine della chiesa. Si parla di una prima fondazione nell’anno 805. Il tempio attuale dal 1063 avrebbe funzionato come chiesa cattedrale durante la costruzione del Duomo (...) la chiesa, imbarocchita nel 1600, fu restaurata nel 1854. Colpita da una bomba inesplosa nel bombardamento aereo del 31 agosto 1943, è stata restaurata nel corso dei vari anni dal 1953 al 1958….
La città di Pisa ricorda ogni anno quel triste avvenimento nelle pagine locali dei quotidiani.
Su La Nazione del 2004 è scritto: “Tutto era incominciato intorno alle 13 del 31 agosto 1943, con la prima ondata di B17, le terrificanti Fortezze Volanti, che scaricarono intorno alla stazione ferroviaria 367 bombe.”.
Il B.17 Fortezza Volante, quadrimotore, che quando nacque nel 1935 era di una grandezza impressionante rispetto agli altri bombardieri, aveva una apertura alare di 31,6 metri ed aveva motori di 930 cavalli. Rimanendo invariate le dimensioni, fu poi costruito in numerose versioni, tutte dotate di motori con compressore da 1.217 cavalli al decollo e 1.014 a 7.600 metri di quota e che si differenziavano soprattutto per l’armamento difensivo come, ad esempio, la versione F che operò in Europa ed anche in Italia nel 1943. Questo B.17 F aveva una velocità normale d’impiego di 314 Km/h. alla quota di 7.600 metri, portava un massimo di 7.900 Kg. di bombe ed aveva una autonomia di 3.219 Km. con un carico di bombe di 1.814 Kg. Per la difesa aveva 9 mitragliatrici da 12,7 di cui 6 in torrette binate più una da 7,62 e con questo armamento poteva fare affidamento per aprirsi la strada in mezzo alla difesa dei caccia nemici.
La nostra difesa aerea nella zona di La Spezia e di Pisa era affidata agli aerei da caccia MC.200.
L’8° Gruppo Autonomo C.T. era dotato di tali aerei, una cinquantina nominalmente, ma poco più della metà sempre disponibili, tanto che dopo l’8 settembre 1943, quando il Gruppo si trasferì compatto in Sicilia presso gli alleati, era composto di soli 22 aerei da caccia e due da trasporto.
Il Gruppo era dislocato sull’aeroporto di Luni Sarzana, con il compito principale di scorta alla Squadra Navale ancorata nel golfo di La Spezia; un altro compito consisteva nella scorta ai convogli nell’Alto Tirreno, nonché in quello di caccia di intercettazione in difesa della costa da La Spezia a Grosseto.
Gli aerei avevano un’autonomia di circa 2 ore con il serbatoio supplementare di 80 litri, il cui contenuto doveva essere versato nel serbatoio principale di 300 litri, dopo che da questo era stato consumato un analogo quantitativo.
Prima della vuotatura del supplementare, cioè per circa mezza ora, l’aereo non era in condizione di svolgere manovre acrobatiche.
Nelle scorte ai convogli il tempo occorrente era di mezz’ora all’andata e altrettanto al ritorno: rimaneva un’ora per la sorveglianza, con il rischio di rimanere senza carburante in caso di combattimento.
Inoltre, a volte era difficile trovare il convoglio, perché questo era costretto a continui spostamenti che non venivano tempestivamente segnalati.
La peculiare attitudine alla scorta navale del Gruppo comportava che spesso venisse richiesto l’intervento in altre zone: ad esempio una pattuglia di quattro aerei della 94ª Squadriglia, al comando del tenente Giuseppe Pesce, venne richiesta e inviata a Grottaglie per la difesa delle navi del Golfo di Taranto nel mese di agosto e vi rimase fin dopo l’armistizio.
Un’altra pattuglia di tre aerei della stessa Squadriglia, da me guidata, venne richiesta, nell’agosto stesso, in supporto al 3° Stormo Caccia di Cerveteri per la scorta ad un convoglio che rientrava nel porto di Civitavecchia. La missione durò una sola giornata.
Nell’estate del 1943, per la difesa su allarme del tratto di costa meridionale di competenza, cioè verso Grosseto, venne allestito un nuovo aeroporto, quello di Arena Metato in provincia di Pisa: un campo erboso
con la manica a vento, che dall’alto non si distingueva dalla circostante campagna.
Vennero costruiti capannoni e baracche per uffici, magazzini e alloggi e anche una piccola baracca appartata per servizio e segnalazioni radio agli aerei in volo.
Qui venne dislocata una squadriglia dell’8° Gruppo, la 94ª, con 15 aerei MC 200 armati da due mitragliatrici 12,7 che sparavano sincronizzate attraverso l’elica.
Venne anche una squadriglia del 13° Gruppo Caccia dotata di aerei Devoitine 520, preda bellica francese, muniti di cannoncino calibro 20 con 60 colpi e due mitraglie alari da 7,65, ma con motore non molto potente. Il 31 agosto del 1943 fui il primo ad avvistare le Fortezze Volanti e ne detti notizia a terra.
Ero ad oltre 5.000 metri di quota su un Macchi 200, in mare aperto davanti alla costa di Pisa e Livorno e segnalai: “Aereo sabato chiama tre rosso, passo” - “Qui tre rosso, parla” “Vedo tanti puntini neri ad ore 6, diversi dai punti bianchi del fuoco di sbarramento della contraerea, di sicuro sono aerei nemici, passo” -“Va bene, ora siamo avvertiti, non avevamo avuto più notizie dei bombardieri da parte della DICAT, avvertiamo
gli altri, passo”. “Bene, ora vado all’attacco, passo” - “Tienici informati su quello che farai, passo.”
Quella mattina sul campo di Metato i tre aerei in servizio di allarme schierati in prossimità della pista scaldavano i motori ogni mezz’ora; piloti e specialisti del turno sostavano all’ombra delle ali.
Gli altri aerei erano decentrati ai bordi del campo.
Quando le sirene suonarono l’allarme, questi tre aerei partirono entro pochi minuti, avendo già i motori caldi; gli altri aerei vennero messi in moto dagli specialisti con urgenza e i piloti arrivarono dagli alloggiamenti
dirigendosi ai vari aerei con i mezzi a disposizione, camioncini e carri attrezzi.
Ogni pilota, pur avendo in assegnazione un proprio aereo, saliva su quello che gli era più prossimo e che era pronto per la partenza; data l’urgenza di raggiungere la quota per affrontare il nemico, non era possibile attendere che tutti gli aerei (7 o 8) fossero pronti per andare in formazione, cosicché ognuno, appena pronto e ricevuto il via dallo specialista, decollava.
Giusto il tempo necessario per indossare il salvagente, il paracadute (il battellino era sotto il sedile), i razzi di segnalazione ad una gamba, le polveri fluorescenti nell’altra, il casco impellicciato con auricolari e laringofono per la radio, gli occhialoni, e poi le cinture di sicurezza aiutati dal motorista e strette al massimo per aderire all’aereo.
L’indicazione della destinazione era data dal Comando a terra a mezzo radio, che aveva una portata massima di 80 km, ma era spesso vaga e imprecisa.
Quel giorno ci diressero su La Spezia a 6.000 metri e quindi tutti salimmo a quella quota. Poi venne un altro ordine che ci indicò aerosiluranti a Livorno, cosicché scendemmo in pochi minuti fino a 1.000 metri con due o tre rovesciate d’ala.
Ma anche qui non c’erano aerei nemici.
Ci fu allora detto di salire oltre 5.000 metri, davanti la costa di Pisa e Livorno e rimanere in attesa.
In tutto questo andirivieni ogni pilota aveva perso di vista gli altri e non c’era possibilità di riunirci perché le radio erano collegate solo con la terra e non con gli aerei.
Quando usciva la Squadra Navale eravamo collegati con le corazzate e con gli incrociatori soltanto.
Quel giorno, 31 agosto 1943, ogni pilota era collegato solo con il Comando a terra, il quale a sua volta dalla DICAT riceveva notizie contraddittorie ed incomplete che trasmetteva agli aerei in volo.
Appena dato l’avvistamento a terra, la formazione dei bombardieri si era improvvisamente avvicinata e l’unica possibilità di intercettazione era quella di incontrarla alla stessa quota e senza scelta di direzione:
avevamo la stessa velocità.
Sapevamo che il metodo di attacco meno rischioso era di affrontarli dal basso in alto verso il muso, e così mi fu possibile affondare e poi risalire e dirigere verso l’aereo della formazione più prossimo.
Salivo in cabrata verso i B.17 e mi avvicinavo sempre più aspettando di sparare da vicino, dato che ancora non mi avevano visto e non sparavano.
Così, ad una distanza in cui li vedevo dettagliatamente, ho iniziato a mitragliare centrando la fusoliera dell’aereo più prossimo.
La reazione venne subito dopo e vedevo le traccianti delle armi nemiche che mi passavano attorno. Mi allontanavo con rovesciata d’ala e poi risalivo nuovamente mentre sopraggiungeva una nuova formazione. Questa volta avevo deciso di avvicinarmi ancora di più e così iniziai a sparare da sotto in alto verso un vicino bombardiere, ma improvvisamente le mie armi tacquero: si erano inceppate le mitragliatrici mentre
quelle nemiche cominciavano a sparare.
Mi allontanai con un’altra rovesciata e sentivo allora i brividi per quelle mitragliate che mi arrivavano alla schiena e di cui vedevo filare le traccianti.
Le armi erano caricate con tre tipi di cartucce: una tracciante, una perforante, una esplosiva, ragion per cui di tre se ne vedeva una sola.
Rientrati a terra, noi della 94ª avevamo fatto tutti combattimento isolatamente; il capitano Cecchet, Comandante della Squadriglia, era rientrato col parabrezza nero di olio, gli altri ognuno con qualche guaio.
I Devoitine 520, invece, erano stati male indirizzati e non avevano incontrato il nemico: avevano motori meno potenti dei nostri.
I bombardieri avevano fatto un solo passaggio: diretti su Pisa e poi si erano portati a Nord-Ovest evitando il porto di La Spezia; erano stati intercettati dagli altri aerei dell’8° Gruppo di Sarzana Luni.
Uno dei piloti, il S.Ten. Petrosellini, riferì di aver visto un fumo dopo la sua sparatoria e probabilmente quel B.17 colpito avrà avuto forti danni.
Ma le formazioni erano in allontanamento e inspiegabilmente non avevano bombardato la flotta, che era formata da tre corazzate, cinque incrociatori e otto caccia. Come ha spiegato l’Ammiraglio Iachino, le navi dovevano essere “mezzo di scambio” e non dovevano aver danni:
il bombardamento aveva come obiettivo solo Pisa, come scritto nel diario di bordo di un B.17.
Non vi fu necessità di tornare in volo, perché l’ondata dei bombardieri era passata una sola volta, e non vi furono allarmi ulteriori, neanche nei giorni successivi, almeno fino all’8 settembre.
L’8 settembre, l’8° Gruppo C.T., che dipendeva operativamente dal Comandante delle Forze Navali da Battaglia, Ammiraglio Bergamini, fu mandato da Sarzana e da Metato a Littoria, per attaccare la testa di ponte di sbarco alleato.
La Marina era stata avvertita delle trattative per l’armistizio, motivo per cui non riteneva di avere ulteriore bisogno della scorta aerea L’8° Gruppo, dopo varie traversate del mare, venne accolto dal Comando alleato e alloggiato all’hotel dei Templi di Agrigento, adoperato dagli alleati per i turni di riposo dei loro ufficiali.
Al Comandante del Gruppo, Maggiore Bacich, venne lasciata la pistola. Il Gruppo venne poi trasferito a Korba, in Tunisia, dove dagli aerei furono tolti i fasci e disegnate le coccarde tricolori.
Ai piloti furono prese le misure per le nuove divise.
Ricostituito il governo Badoglio, il Gruppo fu inviato a Lecce Leverano e poi, riconosciuti obsoleti gli aerei in dotazione, in Sardegna e, successivamente, con aerei più moderni, partecipò alla Guerra di Liberazione
nei Balcani.

Aldo Allegra



domenica 2 ottobre 2011

Vicini di casa



Erano tutti vicini di casa, compreso il magg. Bladelli che abitava allo stesso pianerottolo nostro.

Sotto abitavano Campugiani e Sgarzi.

sabato 10 settembre 2011

Bombardamento di Terni

Poco più di 2 anni fa, il 14 aprile 2009 nella sua abitazione di Orte è serenamente mancato il generale Giuseppe -Pino- Pesce, ispettore Generale delle forze aree del nostro Paese.

Nato ad Alessandria Pesce, nel 1920 è entrato in Aereonautica nel 1939 e ne è uscito nel 1942 sottotenente pilota. Il suo nome è legato ad un episodio che interessa la storia della nostra città: il primo, terribile, bombardamento dell’11 agosto 1943 che distrusse la città e causò, con la prima ondata di 12 apparecchi, quasi 1000 morti. Oggi ricorre il 68° anniversario. La storia è semplice, ma affascinante. Siamo nel giugno 1943 poco prima della caduta del fascismo e all’uscita del nostro paese dalla tragica guerra 1939-1945.
«Il 12 giugno era una giornata limpida e serena, la visibilità era perfetta», scrive il giovane tenente Pesce. «Improvvisamente un P38, un modernissimo caccia americano, facilmente riconoscibile come tale, non segnalato dalla Dicat e convinto di essere a Malta, si presentò nel cielo di Capoterra, un aeroporto di emergenza vicino a Cagliari, dove io, Giuseppe Pesce, prestavo servizio». Il racconto continua. Il P38 atterrò regolarmente, ma quando il giovane pilota americano si accorse che gli avieri erano italiani tentò inutilmente di ripartire. Fu subito arrestato. Il colonello Aldo Remondino comandante del XX gruppo Caccia ordinò l’immediato trasferimento della ricca preda bellica a Guidonia. Furono dipinte sul timone di coda le insegne italiane e presi accordi con l’attiguo reparto caccia tedesco per la partenza di un aereo amico ma di inconfondibile aspetto americano. Doveva volare indisturbato. Ai comandi era il colonello Angelo Tondi, esperto di prede belliche. Atterrato a Guidonia, Tondi costituisce una sezione di attacco, utilizzando i velivoli piu veloci, tra i quali anche il P38 di preda bellica. Ma gli allarmi della Dicat erano sempre tardivi e le partenze dei caccia erano senza successo.
Finalmente l’11 agosto 1943, Tondi coglie nel segno: al comando del P38, intercetta una formazione di 12 B24 Liberators, al largo di Tor Vaianica, reduci, si seppe in seguito, dal bombardamento su Terni dove avevano costituito la prima ondata di attacco. Il P38 si affianca indisturbato alla formazione nemica, saluta gli avieri nemici, si pone in coda all’ultimo quadrimotore della formazione e lo abbatte con una precisa raffica del devastante armamento del P38. Si aprono 3 paracaduti. I superstiti saranno fortunosamente salvati da una silurante nemica dopo una lunga permanenza nelle gelide acque del Mediterraneo. Questa è più o meno la prima versione dell’accaduto, che il generale Pesce diffonde con conferenze e articoli sulla stampa specializzata. Ma il racconto non viene creduto o, quantomeno viene accolto con pesanti riserve dagli addetti ai lavori.
Questi non possono accettare che un pilota italiano o uno tedesco, senza disporre del libretto di volo, nè conoscere le caratteristiche del P38 salga a bordo di un sofisticato aereo nemico, un bimotore di 18000 libbre, dotato di un carrello triciclo, i comandi scritti in una lingua sconosciuta, e, poi decolli senza problemi, anzi porti il velivolo in combattimento. Tutto questo, dicevano, è pura fantasia. Come si poteva fare per distinguere fra verità e menzogne, fra la memoria e il mito? E visto che a distanza di anni nessuno era stato in grado di smentire, come si poteva essere sicuri che il racconto fosse stato inventato? Alcuni fatti pesavano come macigni. Nell’aviazione civile ieri come oggi, il passaggio del pilota da un aereo ad un altro è sempre governato da regole ferree e si traduce, per il pilota, in tempi dell’ordine di molti mesi di intenso e stressante lavoro. Un solo dettaglio, sottolineavano, poteva essere decisivo: la leva del gas che negli aerei italiani si muove all’indietro, cioè verso il pilota, negli aerei americani si aziona in senso opposto. Come faceva il colonello Tondi a conoscere tutto questo? Nella diffidenza ad accettare questa versione, forse giocava il penoso ricordo del comandante Grossi che al comando di un sommergibile si era attribuito l’affondamento di 2 corazzate Usa.
Il Grossi, accolto al ritorno come un eroe, era stato premiato con 2 medaglie d’oro, per essere poi duramente punito quando l’intera vicenda si rivelò un falso. Poi, a distanza di oltre 50 anni dagli avvenimenti, la pubblicazione (anche su Internet) dei diari di guerra americani (Usaf Chronology Mediterranean 1939/1945) e sopratutto il Missing Air Crew Report dell’Usaf numero 430, racconta la vera storia, comunque quella ufficiale Usa, confermando la versione del generale Pesce. L’aereo abbattuto dal Tondi non è un B24 ma il B17, 42- 30043 di base a Oudna in Tunisia, facente parte della prima formazione di attacco su Terni dell’11 agosto 1943. L’aereo gravemente colpito riuscì a tornare in Tunisia ma fu costretto ad un atterraggio fuori campo. Nessuna perdita umana in quanto i 3 avieri che avevano cercato la salvezza con il paracadute furono ripescati in mare due giorni dopo da un idrovolante anfibio Catalina, 63 miglia ad ovest di Capo Circeo. Gli altri 6 erano rimasti a bordo. I nomi dei 3 naufraghi sono Richard E, Jameson, navigatore, Peter M. Robeck, bombardiere e Jack Led Ford, mitragliere di coda. E questa fu l’unica perdita (ufficiale) di velivoli nell’incursione dell’11 agosto 1943 su Terni. Per contro il bollettino di guerra 1174 del nostro Comando Supremo, scriveva. «La nostra caccia attaccava gli aerei avversari e nei duri combattimenti protrattisi anche al largo delle costa, ne abbatteva nove». E, infine, da parte nostra, alla ricerca dei pochi frammenti di umanità e verità che valga la pena di conservare nella tragedia della guerra, perchè non rintracciare i superstiti del B17 e insieme ricordare questi tragici fatti?

Dal Messaggero (Edizione di Terni) del 11/8/2011

giovedì 8 settembre 2011

Palazzi Scarciglia


Visualizzazione ingrandita della mappa

Palazzi Scarciglia

estratto da http://www.prolocospongano.it


Li possiamo ammirare di fronte alla parrocchia D. Giorgio e fanno angolo con via Carmine.
E' meno noto quello a sinistra (guardando la chiesa madre) che adesso è conosciuto come palazzo dei Monicini. Quello a destra, invece più famoso perchè è stato utilizzato come municipio e scuola. Entrambi risalgono al '600.
Attualmente è costituito da due pianidi cui uno nobile e uno, il pian terreno, adibito a magazzini e altro.
Dal portone d'ingresso si accede in un androne coperto con volta a botte e da qui in un cortile scoperto su cui si affacciano altri corpi di fabbrica.
Il piano superiore è formato da due stanze, in passato era utilizato come ospedale. Nel 1849 il comune stabilì che il palazzo Scarciglia doveva essere utilizzato come locale per gli ammalati in caso di colera, perchè offriva ogni comodità delle stanze, per lo scompartimento dell estesse. In questo modo consentiva la sistemazione di venti letti e il ricovero degli ammalati distinti in uomini e donne.
Sulla facciata si può notare la cornice di un'ampia finestra sul cui architrave troviamo un'epigrafe, ormai consunta da tempo, con su scritto: "HIC SUNT PATERA FRONDES", per ricordare la devozione del ramo degli Scarciglia.

giovedì 25 agosto 2011

Palazzo di Famiglia



E' stato il palazzo di famiglia Scarciglia dal 1925 a fine millennio.
Immagini linkate dal web, di proprietà dei rispettivi proprietari

domenica 14 agosto 2011

Vigna di Valle



L' Arma Aeronautica ha posizionato questa targa ricordo all'ingresso del Museo di Vigna di Valle.

A nome della famiglia Pesce, ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a questa decisione, oltre a tutti i collaboratori del Museo ed il personale AM.

Papà diceva "Più importanti delle macchine volanti, ci sono gli Uomini con le loro storie".

mercoledì 3 agosto 2011

sabato 30 luglio 2011

Ten. Pil. Aldo Allegra atterra a Sarzana

Incidente di volo: indifferenza.

Luglio 1943: sibilano le sirene d’allarme sull’aeroporto di Sarzana ed è subito tutto un correre da ogni parte verso gli aerei da caccia parcheggiati ai bordi del campo.
Fa caldo, è quasi mezzogiorno e i piloti si affrettano ad equipaggiarsi ovvero imbottirsi mentre i motori degli aerei già messi in moto rombano fragorosamente per il necessario riscaldamento.
Tuta Marus di lana con pellicciotto artificiale al collo, salvagente e paracadute, mentre il battellino è già sotto il sedile, casco in pelle impellicciato, con gli auricolari e il filo per la radio, laringofono alla gola per comunicare, pistola Very con i razzi di segnalazione della giornata, sacchetti di polverina fluorescente per segnalazione in mare attaccati ad una gamba.
Occhiali, maschera e bombola con l’ossigeno,batteria radio tra le gambe, e quanto altro ancora da non ricordare
Così conciato mi inchiodo sul sedile con le cinghie strette al massimo avendo trattenuto il respiro e raggiungo la liea di volo e dopo un breve rullaggio decollo e salgo in alto verso il mare.
Ma dove devo andare? Nessuno lo dice, e salgo cabro verso 1000, 2000 metri e la costa si allontana sempre di più- Non si vede nulla intorno, né amici, né nemici.
Chissà chi della Dicat li aveva visti e dove.
Comunque giro per il cielo.
Sento un po’ caldo, ma è normale, è estate, così imbottito e con ilmotore che scalda.
Andiamo avanti tranquilli

Ad un tratto il caldo mi sembra eccessivo a quella elevata quota e mi preoccupa: guardo gli strumenti di bordo ed è tutto a posto. Bene. Ma un improvviso forte scoppio mi allarma: o Dio sarà partito il motore e sono in mezzo al mare.
Ma il motore romba ancora, .l’elica continua i suoi giri, gli strumenti non danno segnali di allarme. Sento un odore di gomma bruciata e istintivamente porto la mano destra sulla levetta del carrello: cede, non è fissata e con breve tocco raggiunge la tacca di fermo.
Capisco che è bruciata na gomma del carrello investita dai gas di scarico e fiamme del motore. Ormai il carrello è rientrato e o può spegnersi l’incendio- o può applicarlo all’aereo. D’altra parte se lo estraggo il vento può riattivare il fuoco. Cosa fatta, cosa decisa. Dirigiamoci su terra e cerchiamo di raggiungere l’aeroporto. Piano piano ci arrivo ed annuncio il guasto al carrello :Passerò basso sulla torre di controllo con il carrello aperto, ditemi cosa è successo. Tutto bene, è la risposta, puoi atterrare. Ma no, non è possibile, farò un altro giro più basso e osservate bene. Si, si, hai ragione, abbiamo visto una gomma scoppiata e lacerata, devi atterrare col carrello chiuso- Finalmente qualcosa di certo. anche se di pericolo.
Allora ragioniamo un po’:bisogna planare ad una giusta altezza per poter spegnere il motore ed essere sicuri di entrare nel campo lungo 800 metri Se arrivo corto vado nella palude antistante, se atterro lungo vado contro i fili dell’alta tensione della ferrovia.
Poi la velocità a motore spento deve essere giusta per non arrivare in picchiata e capotare oppure in cabrata e cadere malamente. Poi bisogna mettere il braccio piegato sul cruscotto per proteggere il viso.
Teniamo a mente tutto ciò, facciamo un giro di campo e planiamo.
Eccoci a terra, un grande fruscio della carlinga sull’erba del campo, l’elica tripale ripiegata che fa da slitta e poi l’aereo è fermo.

Aiuti tempestivi con ambulanza e carro attrezzi, mi aiutano ad uscire dalla cabina, un bicchierino inatteso di cognac e tutto è finito, ognuno torna al proprio posto. Mi avvio moscio per la disavventura, ma nessuna domanda, nessun chiarimento: l’aereo andrà alla SRAM officina aeronautica anche per il cambio motore il cui asse si è piegato. C’è. un altro Macchi 200 a sostituirlo. Un semplice incidente di volo, una svista.
Qualcuno avrà mormorato “che c. a non chiudere bene il carrello!“

Roma 28 luglio 2011 aldo allegra all’epoca s,tenente pilota

La foto è liberamente presa dal Web ed è di proprietà del legittimo proprietario.

venerdì 15 luglio 2011

Intercettazione di F104




Da Grosseto fanno decollare su scramble due F104s per intercettare un PD808 pilotato da Giuseppe Pesce

venerdì 1 luglio 2011

Sicurezza volo



Chi poteva immaginare che il "Grandissimo" Riccardo Peracchi fosse l'ufficiale addetto alla Sicurezza Volo?

I casi della vita.

Comunque tutti i nomi presenti sono, o sono stati, amici di famiglia.

Comunque è rimasto un caro ricordo delle sue presentazioni con l MB 326.

RIP


estratto da http://www.hwupgrade.it/forum/archive/index.php/t-1683648.html


il cobra?? Lu lo faceva a 50 metri prua su o peggio.. prua giù..
Ma il massimo glielo vidi fare una mattina presto fra l'hangar della sperimentale e quello del 71°...
C'erano un fila di alberi lunga un trecento metri ed alti un ventina, era un vero muro con altezza sorprendentemente uniforme. Lui arrivò da sud lentissimo con flap tutti aperti e motore Military... Arrivato sulla verticale del primo albero abbassò l'ala sinistra e DONDOLANDO... RIPETO DONDOLANDO, con il centro di movimento passante il tip, (serbatoio alla fine dell'ala) si fece tutta la fila di alberi con l'ala destra che sembrava un metronomo...

martedì 10 maggio 2011

Giuseppe Pesce, pittore del 1700




Un Giuseppe Pesce, artista romano fece nel 1757 questo quadro ora esposto al Museo San Severo di Napoli.

Vi racomando la visita al Museo! E' interessantissimo!

L'immagine è ovviamente di proprietà del Museo.

venerdì 25 febbraio 2011

Magg. Pil. Vito Valenza




Il Magg. Vito Valenza, aveva avuto una vita avventurosa: abbattuto su Corfù dopo l'8 Settembre 1943, quando non era stata ancora dichiarata guerra alla Germania, era stato "fortunatamente" portato in prigionia.

Il 13 Ottobre 1958 mentre era in coppia con il Magg. Giuseppe Pesce, si è infilato con F84F in una nube sul passo Scheggia (comune di Cantiano) e non era riuscito a superare il crinale della montagna.

RIP

venerdì 18 febbraio 2011

Riappacificazione




Dopo il brusco diverbio dell'inverno 1944, alla base aerea di Campomarino, sede della Balkan Air Force, i due Piemontesi si sono riappacificati.

Testimone dell'evento di riappacificazione, il col Civada, aiutante di volo del Capo di Stato Maggiore Gen. Aldo Remondino.

Recatosi in visita ad un gruppo di caccia operante sulla Jugoslavia e schierato sulla costa adriatica, il sottocapo d S.M. all'ora di colazione entrò con il comandante del reparto nella tenda della mensa ufficiali: volti grigi, quasi patibolari, barbe lunghe, raffreddore epidemico, divise logore, arrangiate con vecchi indumenti italiani e "surplus" della Desert Air Force. Di fatto la base non era che una striscia d'erba e di fango attorno alla quale s'allineavano gli aerei e le tende ove, in quel rigido inverno 194/45, viveva il personale. Il cui animo era però ben saldo come stava a provare una visita compiuta, qualche settimana prima, in un'altra identica base, da Umberto di Savoia, al quale avieri, sottufficiali ed Ufficiali avevano dato dimostrazione di simpatia fra l'altro, intonando spontaneamente poco prima del commiato il vecchio inno Sardo.
Aldo Remondino, invece, non ebbe alcuna manifestazione di simpatia e nella mensa la temperatura, non solo meteorologicamente, era così gelida che il comandante del gruppo per sottrarsi all'imbarazzo ebbe una pensata che fu un rimedio peggiore del male: invitò il "capo calotta" a rivolgere un indirizzo di saluto all'autorevole ospite. Con piemontese solennità e decisione il ventiquattrenne sottotenente si alzò limitandosi a dire " "NO, comandante".
"E perché no?" tuonò Remondino.
Non rivolgendosi all'ospite, bensì al proprio comandante, il "capo calotta" replicò " Perché quello lì è un traditore, stava dall'altra parte...".
"Fetente, figlio di puttana" urlo furioso il Sottocapo "vieni quà che ti spacco il muso!"
"Si accomodi" concluse il giovane ufficiale ormai rimessosi a sedere con le posate nel piatto. Era il meno che potesse accadere. Vent'anni più tardi, presa conoscenza per quanto gli riguardava del risultato di una commissione di avanzamento presieduta da Remondino, l'ex "capo calotta" ebbe motivo di pentirsi di quell'exploit.

Estratto da "Ali e Poltrone" di Giuseppe D'Avanzo - Ciarrapico Editore (pag 446.447)

Con Fanali, le cose andavano meglio

sabato 5 febbraio 2011

Addio alle armi





Al compimento di 60 anni occorre prendere atto del cambiamento di stile di vita.

domenica 2 gennaio 2011

Adriana




Adriana non è riuscita a vedere la fine del 2010.


Il 26 Settembre 2010 ci ha lasciati, senza ritorno.


R.I.P.